Diario Libia - Febbraio 2006

(vedi foto)

Finalmente dopo tanto tempo dedicato alla preparazione è arrivato il 3 febbraio, giorno della partenza.

Gli equipaggi faentini sono: Sante, Nives, Franco, Rosalba, Giulio, Anna, Vincenzo, Gisella, Primo, Iride, Sandro, Dedi. Appuntamento all’area di servizio S. Ilario Nord presso Genova alle 11 del giorno dopo( 4 febbraio). Giungiamo verso sera, ci sono già tutti, manca Vincenzo che arriverà all’una di notte. Gli altri equipaggi sono Gianfranco, Maria Grazia, Giampaolo, Silvana da Trento, Oterzio, Orietta, Salvatore, Maria Pia da Perugia, Michele, Teresa da Caserta, Gustavo, Maria Milena da Brescia. Dopo i primi convenevoli si entra in confidenza. La nave “Chartago” salpa con tre ore di ritardo, alle 20. Il soggiorno a bordo è piacevole e di qualità elevata.

5 febbraio Sbarchiamo a Tunisi alle 16, dogana veloce, dobbiamo nascondere i baracchini perché in Tunisia sono proibiti. Dopo rifornimento di gasolio (circa 0,65 euro al litro) decidiamo di guadagnare strada percorrendo un centinaio di chilometri.

6 febbraio. Attraversamento della Tunisia fino a 5/6 km dalla frontiera Per passare la notte chiediamo il permesso alla guardia nazionale.

7 febbraio. Ci mettiamo in marcia poco dopo l’alba nella speranza di passare velocemente la frontiera: pia illusione. Le scene che ci attendono sono da far west: c’è ressa e le vetture locali pur di guadagnare qualche metro si addossano le une alle altre con le angolazioni più strane, si intrufolano tra i nostri camper a rischio di collisione, sormontano piccoli muretti e marciapiedi, compiono le più impensate evoluzioni, si litiga per la priorità di un paraurti, non mancano le scazzottate.Verso le 11 l’intervento in nostro favore di un ufficiale di dogana ci toglie dai problemi e in poche decine di minuti raggiungiamo la dogana libica. Qui ci aspettano la guida Nidal e il poliziotto Kaleb, le pratiche le curano loro, noi dobbiamo applicare le targhe libiche e avanzare gli orologi di un’ora. Finalmente alle 14 entriamo in Libia: Dopo 70 km di strada costiera ci fermiamo per il rifornimento ed il pranzo (il gasolio costa circa 0,1 euro) Ci dirigiamo verso l’interno. Il benvenuto nella terra del Colonnello lo riceviamo da una bufera che trasportando sabbia finissima con violente folate radenti l’asfalto conferisce alla strada e ai mezzi un aspetto surreale. Ne abbiamo per più di un’ora, poi tutto cessa e il sole, prossimo al tramonto, colora di rosa le aride alture che abbiamo di fronte e che affronteremo su di un bella strada che si arrampica a tornanti per raggiungere la prima meta, Kabaw, il cui splendido granaio fortificato di forma circolare ci lascia stupefatti. Si tratta di manufatti edificati in luoghi facilmente difendibili dove gli abitanti si rifugiavano in caso di pericolo e contenenti in celle ad alveare, ogni abitante ne aveva una, i beni,”il tesoro”, della comunità, cereali, olio,ecc. Vediamo anche antichi frantoi. Si fa buio, ancora una trentina di km e ci fermeremo presso un distributore. La notte fa freddo, stufa accesa al minimo.

8 febbraio. In marcia verso Nalut che dista 25 km. Il programma è di visitare il granaio fortificato, però manca il custode, è introvabile; tira vento e fa un freddo boia, siamo sul punto di rinunciare. Decidiamo di prendere tempo facendo rifornimento e riempiendo le taniche di scorta, ottima decisione perché Nidal nel frattempo ha trovato la chiave. Il granaio è molto più grande di quello di ieri e di diversa tipologia, ma altrettanto bello e meglio conservato. A Nalut incontriamo donne vestite di bianche tuniche che le coprono completamente dalla testa alle ciabatte, hanno solo un occhio scoperto; si muovono circospette e svelte, sono per lo più anziane: sono sicuro che di noi non scappa loro neanche il colore dei bottoni delle nostre camice. Lasciata Nalut una strada stretta , buona, dritta , deserta in mezzo al deserto ci porta in poche ore, 250 km circa, a Gadames, antica “porta” di accesso al Sahara, un tempo punto di sosta per le carovane e mercato di smistamento degli schiavi, che raggiungiamo verso le 17,30. E’ presto e un’oretta la dedichiamo ai negozi della città nuova, poi al campeggio distante poche centinaia di metri. A sera ci ritroviamo tutti in una sala per quattro chiacchiere attorno a vino e panettone: Nidal apprezza il panettone ma non tocca il vino, Kaleb va pazzo per tutti e due. La notte fa freddo.

9 febbraio. Alle nove siamo al museo dove apprendiamo gli usi e i costumi dei Tuareg e dei Berberi. Ci addentriamo nella città vecchia, labirinto di viuzze lunghe, strette, rigorosamente intonacate di bianco, per lo più coperte, sfocianti in piccole piazzette attorniate da alzate dove gli uomini si radunano a parlottare. I tetti a terrazza sono comunicanti sì da permettere alle donne di parlarsi, incontrarsi, spostarsi senza essere viste dagli uomini. Ci soffermiamo in quella che era la scuola italiana, dal cui tetto si gode un bel panorama sulla città e oasi circostante; la guida ci conduce all’hotel, ora abbandonato e in rovina,. dove Sofia Loren girò Timbuctù. Alle 13, dopo avere cercato inutilmente il pane, manca da tre giorni però, ci hanno detto, lo passa gratis il governo, torniamo al campeggio. In serata due pulmini ci portano al villaggio Tumin che in piccolo ricalca Gadames poi verso le dune per assistere al tramonto.. Torniamo verso le 20 stanchi morti. A nche stanotte fa freddo

10 febbraio. Si va verso sud. Appena partiti Nidal si reca in un villaggio vicino e fa rifornimento di pane per tutti. Lungo la strada, buona , dritta e deserta, ( in 200 km incrociamo 2 vetture e pochi camion) ci fermiamo in cerca di fossili. Paesaggio piatto, in lontananza scorgiamo qualche dromedario, non si vede un albero, solo radi scheletrici cespugli. Raggiungiamo Al Swariff, punto previsto per la sosta notturna.
Non è tardi e ne approfittiamo per verificare e pulire i filtri dell’aria. Un venticello gelido ci costringe a stare coperti. Ceniamo tutti in uno dei numerosi ristoranti disseminati lungo la strada principale. Giulio va a controllare il menù: mangeremo zuppa pepata e buona, agnello e pomodori alla griglia buoni, berremo una pessima birra analcolica, in Libia sono severamente proibiti gli alcolici. Paghiamo 10 dinari a persona, circa 6 euro. Quando è il momento dei congedi per la buona notte, Salvatore esce dal camper senza sapere che la moglie Maria Pia ha ritirato il gradino e precipita a terra: preoccupazione, apprensione, timore per il peggio; in tale stato ci ritiriamo nei nostri camper.

11 febbraio. Salvatore è un po’ ammaccato ma in grado di guidare il camper, siamo sollevati. Un rapido sguardo al bel fortino italiano ora trasformato in scuola poi avanti verso la prossima meta, Sheba che superiamo dopo il pranzo. Ancora 170 km di strada davvero pessima: l’asfalto posizionato direttamente sulla sabbia forma un fitto susseguirsi di screpolature traverse alla direzione di marcia alte anche 4-6 cm che mettono a dura prova i nostri mezzi, scricchiolii e cigolii, ci costringono a rallentare l’andatura. Alle 17 siamo a Tekerkiba in un confortevole campeggio in mezzo al deserto, ai piedi di alte dune. Facciamo sera dedicandoci agli ultimi preparativi per l’escursione all’Akakus.

12 febbraio. Sette fuoristrada e 2 pick up ci aspettano. Si va ad Al Awainat in compagnia delle numerose palme che seguono la strada; si pranza al sacco, i pick up servono a questo, poi ci inoltriamo nelle piste. L’Akakus è un mondo a sé, sabbia in un susseguirsi di dune di tutte le dimensioni in infinite gradazioni ocra, rocce , mammelloni, picchi, colline archi , guglie grigie e nere delle più svariate e fantasiose forme che si alternano e quasi si intrecciano in un grandioso scenario sempre diverso e sempre più suggestivo. Gli scossoni, anche se i fuoristrada sono confortevoli, spesso esaltati dai “virtuosismi” dei guidatori decisi a stupirci, si sprecano. Il tramonto ci trova nel ben organizzato campo tendato Awis, dotato degli stessi confort di un buon albergo.

13 febbraio. Un’abbondante ed ottima colazione e ci immergiamo in paesaggi incantevoli. Intorno alle 10 il nostro 4x4 perde una ruota e mentre il mezzo sprofonda nella sabbia col mozzo, la ruota per inerzia ci corre davanti per una sessantina di metri: stupore più che panico. L’autista scende e ride, gli altri autisti, sopraggiunti, ci scherzano sopra: evidentemente tali inconvenienti sono all’ordine del giorno,là. Siamo ospitati su altri mezzi e ci dirigiamo al campo attrezzato dai pick up per il pranzo. A metà pomeriggio col fuoristrada riparato riprendiamo a scorazzare ammirando anche pitture rupestri vecchie di 4000-5000 mila anni: nella loro semplicità e rozzezza sono delicate e belle, ci fanno pensare. Ci fermiamo per la notte in un anfiteatro di soffice sabbia ocra e tutt’intorno una cornice di rocce nere. Il cielo terso, il sole radente e l’assoluto silenzio trasmettono un non so che di irreale e fantastico. Velocemente vengono montate le tendine igloo e preparata la tavola per la cena. Si mangia al lume di candela e di luna piena. Iride che all’inizio del viaggio era titubante perché temeva di annoiarsi è entusiasta, felice ed emozionata, ci contagia tutti.

14 febbraio. Entriamo nella regione del Tasswinat. Paesaggi da sogno e spettacolari sculture naturali create steppa rada che si estende per 360 gradi a perdita d’occhio. I fuoristrada ora procedono dal vento e dalla sabbia, l’Arco grande, l’Arco piccolo, l’Arco a tre zampe e ancora pitture rupestri ci accompagneranno per tutta la giornata. Nel tardo pomeriggio il capo guida dopo accurata scelta ci indica dove montare gli igloo; siamo a ridosso di alcune dune e davanti a noi l’infinito di finissima sabbia pennellata di quei caldi colori che solo il tramonto è in grado di dare: peccato però, tira una brezza piuttosto fresca che ci costringe a stare coperti. La Nigeria è a un tiro di schioppo e siamo nella regione del Messak Mellet.

15 febbraio. Mentre i cuochi smontano i tavoli e le tende,noi ci avviamo a piedi
per godere appieno quanto la natura ci offre A malincuore saliamo sui 4x4 e affrontiamo il deserto sassoso: un mare di ciottoli e di sassi nerissimi dove , sulla pista appena percepibile, i mezzi avanzano in fila indiana lentamente e con circospezione. Siamo al Wadi Matkandous, camminiamo lungo il letto asciutto ammirati per i bellissimi graffiti scolpiti sulle rocce della riva. Giraffe, elefanti, coccodrilli, struzzi, ippopotami sono muti testimoni della vita che si svolgeva in quei luoghi circa 10000 anni fa. Pranziamo a vista di tali meraviglie, poi dopo un riposino ci avviamo per il ritorno; non c’è più il deserto sassoso né la sabbia ma una specie di steppa rada che si estende per 360 gradi a perdita d’occhio. I fuoristrada ora procedono a velocità elevata tanto il fondo è piatto e uniforme ed in ordine sparso per evitare le alte nuvole di polvere che ruote sollevano. Foriamo, il pneumatico è velocemente sostituito con uno talmente liscio da mettere in dubbio l’arrivo a Tekerkiba. Finalmente la vista dei nostri camper ci riempie di contentezza e di sollievo.. I 1200 km di piste, scossoni, dune, sassi , graffiti, polvere, pitture, notti sotto le stelle sono stati unici e indimenticabili, ma il piacere di rivedere i nostri camper è altrettanto grande.
16 febbraio. Il programma dice giornata di riposo. Non siamo capaci di stare fermi e al mattino coi fuoristrada andiamo al vicino mercato di Fiesay, tipico ma niente di particolare; poi in campeggio a riordinare, lavare, pulire, fare la doccia, chiacchierare, Nel tardo pomeriggio ci rechiamo a visitare le rovine di Garama, capitale dei Garamanti, antico popolo esperto nello sfruttamento agricolo della scarsa acqua.e tanto bellicoso e ribelle da mettere spesso in serie difficoltà il potente apparato militare romano.

17 febbraio. Giornata full immersion nel deserto sabbioso. Qui tra improvvise  deparate e potenti sgommate che producono alti ed effimeri ventagli, arrampicate in verticale sulle dune, altrettante vertiginose discese, i nostri drivers si scatenano ed improvvisano: sembra di essere su un otto volante. Ammiriamo i famosi laghi di Mandara, ne vediamo cinque, purtroppo il primo e l’ultimo sono asciutti ed il pericolo esiste anche per gli altri. Sono piccoli, intensamente azzurri,  cinti da una corona di verdissime palme, incastonati nel mare dorato: il contrasto è spettacolare. Nidal fa lo stupido e si lascia ruzzolare da una duna alta più di cento metri, quando arrivato in fondo si rialza è pallido e barcollante, ne avrà  per diverse ore.  I nostri pick up sono parcheggiati presso la sponda del lago Um Al Ma ed il pranzo è pronto al nostro arrivo. Gli altri laghi sono Ragrag, Mafu, Gauron e Mandara. Il primo pomeriggio lo passiamo a bighellonare e a chiacchierare coi venditori di monili o a zonzo tra le palme. A sera, in campeggio, Romano, a sorpresa, tira fuori “l’attrezzatura” e prepara per tutti piadina e vin brulè  in un crescendo di allegria e baldoria.

18 febbraio. Oggi tappa lunga, 720 km. Alle 7 siamo già in marcia, strada tremenda fino a Sheba poi migliora, attorno tutto è maestoso e grandioso, ma monotono e piatto, che differenza coi giorni passati! La circolazione  rigorosamente assente. A circa 100 km da Sirte, la nostra meta, Dedi riceve una telefonata allarmante: Bengasi è teatro di disordini, ci sono vittime, il consolato italiano è stato preso d’assalto. Preoccupati raggiungiamo Sirte e dopo avere parcheggiato presso un hotel ci raduniamo per le discussioni del caso. Nidal e il poliziotto Kaleb cercano di minimizzare e domani propongono di aggirare Bengasi. Di tale opinione è anche il funzionario del consolato italiano interpellato per telefono. Si decide di proseguire come da programma, cioè raggiungere la Cirenaica evitando Bendasi.

19 febbraio. Alla partenza l’atmosfera è piuttosto tesa, alcuni vorrebbero rinunciare. Verso le 14,  appena ripartiti dopo la sosta del pranzo, la vettura di Nidal, davanti a me di 400 metri si ferma. Scendo e a piedi lo raggiungo; il poliziotto Kaleb è attaccato al cellulare e ci starà per almeno 10 minuti buoni, poi la notizia: Bengasi è circondata dalle forze dell’ordine ed è sotto controllo, ma la polizia non conosce la forza operativa dei dimostranti, soprattutto non sa se hanno elementi attivi fuori città, perciò non è in grado di garantirci sicurezza: come dire “tornate indietro”.  Siamo a circa 150 km dalla meta, a malincuore dò la notizia per cb ed inverto la marcia. Alcuni si sentono sollevati, altri criticano. Facciamo una sosta a Ras Lanuf dove nel IV secolo AC fu stabilito il confine tra Tripolitania romana e Cirenaica, greca. Negli anni trenta Mussolini fece erigere qui un grande arco con due colossali statue seguendo le indicazioni di un’antica leggenda. Gheddafi nel 1973 fece abbattere il tutto vedendo in quelle statue un simbolo di divisione del paese. Torniamo a Sirte e la superiamo.  È quasi sera, Nidal si ferma in diverse cittadine  informandosi presso la polizia locale circa la possibilità di pernottare, ma per un motivo o l’altro riusciamo a sistemarci  presso un hotel soltanto a Misurata, terza città della Libia per dimensioni. Abbiamo percorso più km di ieri, sono le 22 e siamo stanchi morti; qualcuno auspica un’immediata uscita dalla Libia.

20 febbraio. Quasi tutta la mattinata è dedicata alle problematiche di Bengasi e alla ricerca di un programma alternativo, visto che ci salta quasi una settimana; nel frattempo mi sento col consolato italiano che rassicura e promette (mantenendo) che starà in contatto giornaliero con noi. Sul mezzogiorno partiamo per visitare la vicina Zliten, grande oasi costiera ricca di datteri e città santa della Libia, dotata di un bel complesso religioso composto da moschea, madrasa (scuola di corano) e un mausoleo contenente le tombe di alcuni marabutti (i nostri santi) molto venerati. Per il pranzo ci spostiamo presso i resti di una villa romana a vista di mare cristallino, incontriamo i primi mosaici poi via verso Leptis Magna dove siamo accolti nel giardino di una casa privata: abbiamo luce e docce. Romano per la seconda volta si mette all’opera e prepara piadina, bruschette e vino, altri equipaggi aggiungono pane, salse varie, olive, carciofini, affettati: è di nuovo allegria.

21 febbraio. Leptis Magna, la più fastosa e ricca città dell’impero romano dopo Roma ed uno dei più importanti porti dell’Africa. Vi nacque nel 145 DC Settimio Severo che divenuto imperatore si adoperò con tutto il suo potere per darle quella supremazia commerciale e artistica che i numerosi resti testimoniano. Cominciamo la visita dal museo, notevole ed esauriente con alcuni “pezzi” di  rara bellezza e fattura: siamo ai livelli del Cristo velato del Sanmartino a Napoli e della Pietà di Michelangelo a Roma, forse di più. La guida locale è preparata in modo superlativo e disponibile, ci coinvolge. Il posto è grandioso, i reperti storici pregevoli e numerosi le vie ancora intatte e i vari monumenti perfettamente individuabili: l’arco di Settimio, le terme di Adriano, la Via Colonnata, il Nymphaeum, il foro dei Severi, la Basilica, lo Stadio ed innumerevoli altri manufatti. La passione della guida nel descriverli ci fa quasi vivere questa antica metropoli. Completiamo la giornata visitando la vicina Villa Silin, bizantina, ufficialmente non aperta al pubblico perché sotto restauro,  una delle tante residenze fuori porta che i facoltosi di allora si permettevano con vista mare, parco privato e porto personale. I numerosi mosaici sono tra i più fini, raffinati e belli che siano dati a vedere, purtroppo in uno stato di abbandono inconcepibile. Lo scoramento con cui la guida li illustrava ci riempiva di sconcerto. Rientrati ai camper, Sandro e Giulio vanno a prenotare una cena a base di agnello, ci andranno quasi tutti, restano ai camper 4 equipaggi. In serata inoltrata, al rientro dalla cena, il clima torna teso a causa di telefonate allarmanti dall’Italia circa la situazione in Cirenaica. Molti animi sono alquanto agitati. Torna un po’ di calma quando dico che domattina per prima cosa telefonerò direttamente alla Farnesina.

22 febbraio. Abbiamo nel gruppo un generale in pensione, Michele, gli chiedo di fare la telefonata. La Farnesina conferma che non sussistono problemi per dove siamo e dove dobbiamo andare. Si vota per il rientro subito o per il proseguimento; all’unanimità si opta per l’ultima soluzione e con tale decisione cessano disaccordi e disguidi. Si parte per Gayran la città delle ceramiche, non molto fini per la verità, e delle tipiche abitazioni berbere, costruite scavando nel terreno buche circolari profonde fino a tre piani con diametro di circa 10 metri, la parte a cielo aperto adibita a cortiletto e raccolta acqua, tutt’intorno le grotte/stanza. Un modo per difendersi dal calore estivo, dal gelido inverno e da eventuali nemici. Tra qualche giorno e per qualche giorno saremo un po’ famosi in Patria. Vincenzo è stato contattato per cellulare da un amico di Faenza cronista del “Carlino”, chiede di essere aggiornato sulle nostre ultime traversie, Vincenzo gli da le giuste dritte e, tornati a casa, ci leggeremo su “Il Resto del Carlino” e “ Settesere”.  Da Gayran ci trasferiamo a Tripoli; ci imbattiamo in un traffico caotico e incontrollato. Procediamo lentamente, con difficoltà ed estremamente guardinghi, Nidal come al solito è sparito. Primo verrà leggermente tamponato, roba da poco per fortuna. Sostiamo in un parcheggio custodito presso il centro storico.

23 febbraio. In mattinata con comodo ci rechiamo alla Medina, assieme al museo l’unica cosa interessante di Tripoli; è piena di bazar che rigurgitano di pellami, tappeti, monili, oggetti preziosi; di strette e labirintiche viuzze intonacate di bianco; di umili e caratteristiche botteghe di artigiani; molto colorita ma piuttosto povera. Nidal ci fa visitare alcune moschee, la torre dell’orologio, l’arco di Marco Aurelio, la bella casa Karamanli. Ci riposiamo in un simpatico caffé affollato da fumatori di narghilè: secondo me la nostra presenza li disturba alquanto. Comincia a soffiare il vento, sarà un  crescendo per tutta la giornata. Nel pomeriggio, mentre decidiamo sul da farsi, il cielo prima si fa luminoso poi si tinge di giallo, rabbiose folate trasportano sabbia impalpabile e gocce di pioggia, ci ripariamo nei camper che sotto le raffiche oscillano vistosamente.Tutto intorno a noi è ovattato, gli edifici hanno i contorni sfumati e stentano a vedersi, sembra di essere in mezzo a una fitta nebbia giallo luminosa. Quando torna la calma usciamo dai camper: sono irriconoscibili, paiono enormi mattoni di fango giallastro. Ci guardiamo gli uni con gli altri increduli, ci muoviamo coi fazzoletti davanti al viso.

24 febbraio.  Il tempo è migliorato; in tarda mattinata torniamo alla Medina, purtroppo i negozi e i suq sono quasi tutti chiusi (da loro è festa), siamo un po’ delusi. Facciamo un salto al mercato del pesce, ben fornito, affollato, vociante. Con un pulmino attraversiamo tutta Tripoli per recarci al ristorante dove l’agenzia ci ha offerto un pranzo, anche lì c’è un mercato del pesce, si chiama “mercato del buco” perché è basso rispetto al terreno circostante. Ci hanno detto di scegliere quel che vogliamo, verrà cucinato. Giulio, Teresa e Michele sono incaricati di fare la scelta. Si mangia in veranda vista mare ed in maniera superlativa. Pomeriggio a zonzo col pulmino tanto per far sera. La mancata andata in Cirenaica ci ha scombussolato il programma. Al rientro in parcheggio trovo Rita e Piergiorgio, amici di Rovereto di ritorno dall’Egitto, anche loro hanno avuto problemi in Cirenaica. Troviamo anche un camper di francesi reduce da Bengasi nel momento dei disordini, ha la cellula con parecchie ammaccature e alcune finestre riparate con materiali di fortuna: si sono presi paura, sono frastornati ma continueranno il loro viaggio attraverso la Libia, sono diretti a Nalut.

25 febbraio. Stamattina visita al museo Jamahirya, ricco di reperti provenienti da Leptis Magna, ed uno dei più interessanti musei del bacino del Mediterraneo. In bella vista all’entrata c’è la VW “Maggiolino” con cui Gheddafi faceva propaganda politica prima di diventare Colonnello. La guida è preparata ma veloce, scolastica, priva di entusiasmo. Nel pomeriggio alcuni vanno per negozi altri a visitare la città nuova, i cui monumenti più significativi sono italiani.

26 febbraio. Mattina libera, chi va in giro, chi non sa cosa fare, chi va per compere e trova la metà dei negozi chiusi (è festa anche oggi), qualcuno ha comprato dai custodi del parcheggio le grosse taniche con le quali ci veniva fornita acqua per riempirle di gasolio. Siamo tutti più o meno impazienti di lasciare Tripoli. Verso le 15 ci mettiamo in moto. Una veloce puntata al vicino sito di Janzur; visitiamo il museo costituito da 18 tombe sotterrane di cui una meritevole per i ben conservati affreschi, poi a Sabrata; parcheggiamo nel cortile di un motel presso la zona archeologica e in vista mare.

27 febbraio. A piedi lungo la spiaggia raggiungiamo il sito romano, interessante, ma dopo aver visto Leptis non ci fa effetto più di tanto; la guida fa del suo meglio, pochi la seguono; il monumento più importante è il teatro, in compenso il mare è incomparabile. Pomeriggio dedicato  ai  preparativi  per la partenza e alla pulizia dei  camper, dopo la tempesta a Tripoli la polvere e la sabbia sono dappertutto.

28 febbraio. Alle 7 ci dirigiamo in frontiera, Nidal è di nuovo sparito e  la polizia non ci fa entrare nell’area dogana, poi finalmente ci lascia guadagnare il parcheggio: dove all’entrata applicammo le targhe, ora le togliamo, ci danno indietro 30 euro per ognuna. Alle 13 entriamo in Tunisia con sosta pranzo vicino al parcheggio dove dormimmo all’andata. Qui ci dividiamo e in allegria tra saluti, baci, abbracci, strette di mano, pacche, promesse per il futuro, ci salutiamo; 5 equipaggi resteranno in Tunisia altri sette giorni, 8 proseguiranno per l’imbarco a Tunisi

Costi per camper e due persone

Spese di traghetto, agenzia, guida, poliziotto, parcheggi, 6 giorni di tour nel deserto, pasti previsti, musei, siti archeo, guide locali, campeggi €

2.800,00

Carburante, autostrade, piccole spese, souvenirs (braccialetti, collane orecchini in argento o simile, acquistati nel deserto dai Tuareg o nei suq) €

400,00

Rimborso per la riconsegna targhe libiche  €

30,00

Percorsi circa 5500 km coi camper e 1200 coi fuoristrada.

I globetrotters del nostro Club già da parecchi giorni sono tornati dal Viaggio, alcuni, tra cui il sottoscritto, hanno “allungato” una settimana in Tunisia. Tutti ,al rientro,  ci siamo dedicati alla eliminazione delle tracce  lasciate dal deserto sui  camper. Si, perché siamo incappati in due tempeste di sabbia, una più spettacolare dell’altra,, pioggia e raffiche di vento da fare oscillare vistosamente i mezzi. D’accordo,  si è trattato di pochi giorni soltanto, gli altri sono stati stupendi anche se non sempre soleggiati e temperati; pochi giorni però sufficienti a trasformare  i nostri Ducato in grossi parallelepipedi color  ocra per la cementificazione, a causa della pioggia,  dell’impalpabile sabbia  gialla sulle carrozzerie, sui vetri, lungo i  bordi  delle guarnizioni, nelle fessure tra le parti metalliche. . Che lavoro, e che bel riandare coi ricordi mentre con acqua, scopone e tanto olio di gomito li abbiamo ripuliti per prepararli a nuovi appuntamenti. In  un prossimo numero del NOTIZIARIO il diario di viaggio. Ora mi limiterò a divagazioni  personali di  carattere generale. Innanzi tutto alcune parole  sul mancato raggiungimento  della Cirenaica a causa dei noti disordini avvenuti a  Bengasi. Mi sono sempre sentito  tranquillo; la  guida ed il poliziotto che ci  accompagnavano erano in  costante contatto coi loro superiori e ci tenevano aggiornati su tutto. Solo quando la polizia consigliò di evitare sia Bengasi che la  Cirenaica  invertimmo la rotta (eravamo a 300 km da Bengasi). Il consolato italiano ci ha seguiti fin dal primo momento informandoci sugli avvenimenti  e consigliandoci.

La popolazione ci ha costantemente  trasmesso una tangibile sensazione di sicurezza.  In Libia era un piacere stare, almeno per noi turisti, in mezzo alla gente ed alla polizia, gentili, disponibili, riservati, desiderosi di parlare e di metterci a nostro agio. 

La maggioranza degli automobilisti e camionisti incrociandoci lampeggiava o salutava.  Mi sono sempre sentito accettato.   Mi resta netta la sensazione che il Colonnello sia molto temuto ma poco amato.  Desolante è l’assoluto stato di abbandono delle opere d’arte e dei siti archeologici.

Altrettanto desolante, ai margini delle città e dei paesi la vista di tonnellate di rifiuti e plastica che trasportati dal vento imbrattano per chilometri e chilometri  le campagne intorno: infondono un senso di sconforto e tristezza. Ben altre sensazioni invece ha lasciato il viaggio ed il modo in cui è stato vissuto. Insoliti e unici i granai fortificati di Kabaw e Nalut. Affascinante ed intrigante la città di Ghadames.  Spettacolare e grandiosa Leptis Magna. Indescrivibile il deserto che  qui si chiama Akakus, Wadi Mathcandoush, Mandara. Sono luoghi di impressionante immensità e suggestiva , struggente bellezza: bisogna vederli e viverli come abbiamo fatto noi poiché non è possibile descriverli e qualsiasi foto  non rende giustizia. Infine il nostro gruppo: la curiosità, il concetto dell’uno per tutti  e tutti per uno, il desiderio  di essere protagonisti, di scherzare ad oltranza, di andare e di buttarsi ha fatto si che zoppicature, malanni, dubbi , incertezze fossero sconfitti d’acchito in un crescendo spumeggiante di emozioni e suggestioni che si traguardano solo con  l’energia dei venti anni. Il viaggio è stato interessante, il gruppo, faentini in particolare, mitico.

  Sante.           

FINE

(vedi foto)